STATO GENTILE
inedito
 
 
 
Antonio Di Cicco - Stato Gentile
Sezione centrale di "Homo Patiens"
pubblicato nel 1980 come suppl. della rivista Salvo Imprevisti
All rights reserved

 
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Ma il turbine è tornato all'improvviso, tutt'uno cielo e acqua, dopo sbandate pazze e previsoni concitate, tra terrore e speranza.

Una conversione di 180 gradi, poi la volata per le vecchie piste, un soffio rapinoso che rimette in crisi il panorama, confonde tutto livellando, dall'aperto alle chiusepopolate, fino ai colli noti da rispogliare.

Pochi i lampi, senza tuono, su case oblique e facce segnate dalle reti divelte dai recinti, abbattuto ogni segno verticale, riempiti i fossati, e nessun fuoco a orientare, né pane a abbrustolire, grida stridule invece, dovunque un fischio insopportabile di vita e allora è subito incoscienza, perso il senso a ogni voglia.

Ma il movimento, endemico, non dura è ancora caos breve, che lascia poche tracce.

Il vortice, dilatanso troppo in alto, ha arrochito l'eco dei bisogni ma insieme ha perso dinamismo, si è traformato in un vento ordinario che che sgombra il cielo e si calma, mentre si posano sfinite tutte le istanze in sospensione.

E chi si è perso non entra più nel conto, l'aria di maggio è già tornata a brillare, l'asfalto si rasciuga fumando ed è ripreso attorno agli autobus il via vai della gente eccitata che sorride : Tivoli, trenta Km da Roma, da Montecelio sei o sette, meno ancora dal posto di guardia del Km 28 della ferrovia per Pescara, poco oltre la stazione di Guidonia, dove è arrivata l'ambulanza.

Eugenio Mastropietro, medico e giornalista.

Là è campagna allentata dalla pioggia, dopo ore di tempesta con smottamenti frane e danni alle colture, ai piedi di montagne che serrano la piana nel loro ferro di cavallo.

Saliva a piedi la collina che porta a Montecelio.

Un pendio verde ma deserto, una sola casa a mezzacosta, con due sili, tra il cimitero di Guidonia e una cava di tufo abbandonata.

Perchè sali va non si sa, perchè girava una collina fuori mano, quei posti senza meta.

L'ipotesi più seria l'ha fornita un contadino del luogo già curato per infarto nella clinica romana dove Eugenio è primario : alla venerazione si era aggiunta l'amicizia, il professore veniva a trovarlo ogni sei mesi, controlli gratis, alla mano, qualche volta si è fermato a mangiare.

Però non è pensabile che Eugenio tornasse a visitare il suo paziente dopo appena venti giorni, lo ha escluso lo stesso contadino precisando di averlo visto il primo maggio, era arrivato a mezzogiorno e ripartito alle tre del pomeriggio.

Inoltre non si è trovata l'automobile, il Lancia Beta metallizzato che ricordava pure il titolare del casello, e poi Eugenio andava in tutt'altra direzione, non si capisce dove, attraversava la linea ferroviaria in aperta campagna, tutto infangato, solo.

Ora comunque è a Tivoli in una stanza dell'ospedale cittadino, nell'ala nuova del cortile antico, la faccia ritornata adolescente, solo gli occhi sono globi troppo rilevati nella fisionomia ingentilita dalla fasciatura.

Però si vede che il calabrone non è più di primo pelo, e non si capiscono i motivi che lo hanno spinto a girare isolato in un giorno di buriana. Elena l'impatto l'avrà dato per mortale ma le gambe non avranno ceduto, no, la sua fragilità sembrava vera, futile ogni decisione e sempre tutti a guardarla, ma era tutto un abbaglio, adesso lo saprà, d'un tratto fisicamente finito lo squilibrio, l'antagonismo per l'egemonia.

Anche il dolore sarà un lenzuolo vuoto, deserto il luogo dello scontro, -ma vattene, vai, devi andare-, -non reggo a questo tuo rimpianto di libertà-, -mi rende serva-, -io lo volevo che tu vivessi per me-, -cosi giustificavo questa vita-, -ma tu hai cominciato a mentire-, -che hai tradito la tua classe-, -che vuoi tornare in patria-, -ma stai sempre tra i piedi-, -irresoluto e infelice-, -questa è la tua violenza-, -e mi intralcia-, -mi fa contare su di te-.

Struggente solo il ricordo della gravidanza, il primo maggio a Milano, l'albergo vicino alla Camera del Lavoro, la via già piena di cortei, ma finalmente tutti esclusi gli altri, nessuna occhiata alla manifestazione, lui sempre a toccare la pancia già più tesa, attento alle parole pacifiche di chi portava il peso disinvolta e razionalizzava fino alla pedanteria, dieci anni accaparrati, progetto vero finalmente, ridicolo il terrore di prima a prevedere.

Ma lui con suo figlio ci giovava, Gino e Lallo, un uomo soddisfatto, l'aveva ammesso controvoglia anche oltre Lallo, la scrivania e quei cassetti sempre chiusi a chiave, la professione e i contatti umani, gli scrupoli e i soldi come no, le sa curare le sue cose, anche aggiustare con testardaggine e pazienza, il suo stato mica lo cambierebbe a cuor leggero.

Solo con lei inflessibile, -tu vuoi amputarmi-, -vuoi che passi la mia vita a conoscerti-, -mi vuoi impotente come te-, -per accettare il destino-, -ma io voglio cambiarla la mia sorte-, -è inutile che ridi-.

Parole d'aria ormai, immaginate più che rievocate.

Sarà calma, asciutta lei che imbruttisce a ogni commozione, gli occhi umorosi, subito rossi.

Constaterà senza rancore, con grande dignità, cessato il tumulto dei rimpianti.

Anche il padre avrà smesso di parlare e solo l'aria continuerà a soffiare un bisbiglio di richiamo, -Lella!-.

Lei, girati gli occhi un istante, lo vedrà fermo sull'altro marciapiedi, ben vestito, piacente, le basette lunghe che non aveva prima della separazione, la bocca stretta in un sorriso di compiacimento per Paolo, bello nel cappottino giallo, il berrettino sui capelli ancora biondi, -Lallo!-.

L'indifferenza subentrata all'odio si era subito dissolta, ma quanto sforzo per dominare la stretta al ventre e mantenere inalterata l'andatura, stravincere facendo finta di non averlo visto! Piazza SS. Apostoli brillava nella prima mattina di decisa primavera svaporata a quel sole ogni perplessi tà sul da farsi, dimenticato il dilemma se cercarsi un altro uomo, così incerto lui un'ora dopo, a disagio sul divano nel salotto.

Stupefacente sarà soltanto la scoperta di come è già disposta ad accettare.

Niente deliri, senza somigliare a nessuna. Un'eroina.

Il calabrone scioperato ha battuto la testa ed è finito lo scialo del dissidio, 15 anni il progetto di far uomo Paolo, insegnargli ad amare senza scioperatezze, controllare il suo gusto di correre dietro a ogni colore, uguale al padre.

Ed è già tempo di efficienza, bisogna riportare Eugenio a Roma, sapere perchè da venti giorni quasi non ritornava a casa, che ci faceva nella collina sotto a Montecelio.

 

* * *

 

Elena! 20 giorni o 20 anni, un ragguaglio superfluo. Meno, se mai, la notte scorsa, questo epilogo. Ecco, in questa notte Eugenio non ha trovato il tempo per dormire, è la prima volta che gli succede nella vita. Alle 20 è ancora solo, sdraiato sul letto in casa di Rosetta, sulla collina di Montecelio,tra la cava di tufo e il cimitero. Oltre i due sili, si vede la pianura fino a Roma, un panorama in movimento messo a fuoco dalla distanza giusta che Eugenio, aperta ora la cartella a pag. 47, sta paragonando al suo PAESAGGIO

l'orientamento tra i cristalli

lucidi della macchina

è garantito dal lampeggio

dei riflettori segnaspazio

al di là solo terre di saccheggio

tempi vuoti e bisogni primordiali

frizioni catastrofiche

 

entro i confini il lanciarazzi spara in alto meteore sempre nuove: ormai sono milioni a esigere l'orbita immortale

 

e in milioni di fuochi

si fa intruppati l'esercizio

di pazienza il torpido saggio

della corretta posizione

però l'eliso non si trova

e si deve ricorrere alla droga

per rendere leggibile il paesaggio

 

ma si sta caldi e all'assedio si è fatta l'abitudine; si continua a cercare l'antidoto strategico ai contrasti in sortite tecnologiche; il tabellone elettronico si è sempre acceso il sabato, ha permesso la festa

 

e ancora non dà sintomi

l 'anidride carbonica in aumento

la fine della vita è calcolata solo al 2120

-così conta meccanica la scienza-

ma l'angoscia ha già preso la sua forma

ha prodotto il suo vento

 

si dorme rigidi al sonnifero: fuori a miliardi si sono organizzati, si sono fatti miliardi di paletti alti un metro e novanta con bracciuolo e pedana; dentro occorre un salto da oltre cinque metri per invertire l'onda sismica, aver salva la pelle e risolvere il problema

 

* * *

 

atterrita la piuma remigante

ha innestato la marcia di difesa

rifiuta l'agonia della scansione

di morte previsioni

ricorda gli occhi accesi del week end

seguire tra le ortiche

l'armonioso ronzio del calabrone

 

e senza sforzo ha inizio il volo di ritorno oltre confine, nel tumulto dei progetti di futuro

 

si smette di esitare fatti i conti

la prima operazione è demolire

si attacca col diamante

il vetro del modello

i compagni provvedono a tagliare

tutti i tentacoli le spire

ad ogni arbitrio solitario

 

irriverente e collettivo l'entusiasmo semplifica il groviglio; torna a sparar lo starter e la corsa risprinta libera, apre di forza mille varchi

 

e libera i cavalli

il carcere svanisce la campagna

aperta si spalanca

tra sili e alberi a quinconce

i monti sono azzurri i fiumi gialli

e l'erba verde grassa

può essere mangiata a sazietà

 

è la soddisfazione dell'augurio originale: la speranza rinasce con la corsa; trovata una compagna si può ricominciare a costruire

 

ma a tagliare al collare

il filo d'oro che trattiene tutte

le perle maniacali

ad aprire le vene all'acquedotto

che devia nei recinti

l'acqua potabile all'aperto

chi può negare razionalità?

 

 

* * *

 

La lettura era stata calcolata e gli sbadigli non erano di noia, piena coscienza invece dei mutamenti intervenuti nel frattempo (si, la cosetta sta invecchiando inedita) e occhi animati per l'approssimarsi dell'ora dell'appuntamento, -ci vado, come no-, fuori del dissidio sfiancante ribellione-sottomissione.

Ma l'acqua della brocca (il lavabo smaltato è uno dei tesori di Rosetta) è ancora doccia di sofferenza che riporta alla casa dell'infanzia, -mamma, mamma-, però gli occhi non sono rassegnati, -ho bisogno di rinnovarmi perche ne sono capace-, -e mi chiamo Mastropietro per pooo tempo ancora-, - Eugenio F. Altomiri-, sì, puzza di marcio solo a star nascosto oon l'infelicità, -io voglio l'esperienza mica l'estasi-.

Oh, è calmante vestirsi per un appuntamento, fumando e facendo l'inventario, il portafogli nella tasca posteriore, la patente nella macchina parcheggiata dietro il più alto dei due sili, la sigaretta accesa in mano, -sì-, capelli docili al pettine e pelle levigata anche sul collo, -sono in grado di cercarmi la felicità-, (ma la cartella è rimasta fuori della valigia ormai richiusa e riposta nell'armadio, aspetterà nel comodino col necessaire da barba, ricordarlo) e ora chiudere la finestra e spegnere la lampada sul letto.

Fuori (la notte sta calando con la nebbia) ancora tre operazioni, schiacciare la sigaretta controllando che la porta si sia chiusa, nascondere in un buco del silo grande la chiave di cui Rosetta non possiede il duplicato, orinare sull'erba senza impellenza ma meglio farlo adesso.

Poi, senza patemi, la partenza, dalla casa di Rosetta a mezzacosta sulla collina ci sono due Km di discesa (fino alla carrareccia che risale alla Torraccia), quattro di rettifilo fino al bivio e sei di Tiburtina verso Roma prima del ristorante, col poco traffico che c'è di sera verso la città, un quarto d'ora di cammino, non ci sarà ritardo per le nove.

Purtroppo l'hostaria è acconciata come il nome, ovunque archi di mattoni rossi, arcolai e aratri negli angoli, piccioni e falchi impagliati sulle mensole, ma è Rita a consolare (Rita!) , -bisogna tornarci di giorno- (il primo incontro del rimpatrio) , -fuori la costruzione è bella- (scommetto che ti chiami Margherita, fiore comune delle vecchie strade) -una antica masseria- (e sono gli stessi occhi scintillanti, il culo alto, perfetto), -dopo un dosso roccioso- (una emozione ritrovata ancora in tempo), -la valletta alberata con la casa- (stanotte in quella di Rosetta, a riavvezzarsi).

Gli altri sono vecchie conoscene meno Lea, la moglie di Gennaro (grandi sguardi curiosi e un po' stronzi), e Rita è a suo agio, ride con Nello (Mantredo sì, è il fratello più giovane di Nando, al primo incontro fu un disagio tremendo) che già ironizza amabilmente sul casino contro il suo saggio su "Condizione giovanmle e movimento" fatto nel pomeriggio al collettivo dagli autonomi (come no, et timeo autonomos et dona ferentes, ma Rita dice che più spesso gira sola e che c'è sempre qualcuno che la carezza nei capelli di sotto; ne hanno parlato anche i compagni, con più complessi: che è sempre dappertutto e che non parla mai ma vota sempre le mozioni più avanzate; e che si sta liberando, faticosamente,e non soltanto dei tabù sessuali).

Manca ancora Spartaco, l'autore dei volantini più incazzati d'Italia ma i suoi ritardi sono normali e la cena è cominciata, Rita mangia poco ma non è vero che non parla, adesso sta dicendo che è per superare la massificazione comunque imposta dalle organizzazioni che tanti gruppi si aggregano e disgregano dovunque; che cioè non è la crisi economica a generare l'infelicità e a radicalizzare la richiesta della trasformazione, ma la mancanza di un'alternativa praticabile subito, mentre continua la caduta della qualità della vita e si acuisce lo scontro nei rapporti, specie ovviamente in quelli tra uomo e donna (sì, ma qui l'equilibrio si può trovare col recupero della grazia naturale: un calabrone in salute attorno a una torraccia coi suoi alberi a palla, energie a strafascio, recidive ; Rita tentava di sottrarsi al richiamo del ronzio ma ritornava dopo i vagabondaggi sempre più rassicurata, -tu-, -tu non fingi di interessarti a me-).

Comunque è Rita a provocare le puntualizzazioni serie di Gennaro: con tutto il rispetto per il femminismo, il problema è diverso; il proletariato non è mai stato omogeneo e l'obiettivo strategico di una rivista rivoluzionaria rimane sempre la riunificazione della classe; questo è il parametro di base da cui nascono i giudizi corretti sull'attività dei gruppi e per questo gli autonomi vanno isolati come scissionisti; una frazione separata più che dall'organizzazione paramilitare che si è data dall'errore teorico di credere imminente lo scontro rivoluzionario; invece la strada (lunga e tortuosa) della transizione ha bisogno di un progetto di trasformazione riformulato con chiarezza se si vuole ridare spazio alla nuova sinistra da troppo latitante dai problemi reali per eccesso di attenzione alle sue logiche interne.

Nello però ha capito di essere il bersaglio e non si lascia intimidire: mica il progetto si può fare a tavolino e mica basta più l'osservazione di quanto avviene in fabbriche e cantieri, la via imboccata dalla borghesia per uscire dalla crisi (si sa, investimenti ad alta intensità di capitale e a basso impiego di mano d'opera con riduzione selvaggia dei posti di lavoro) crea masse crescenti di non garantiti, ai quali è facile vedere che per uscire dalla crisi si deve uscire dal capitalismo; è un fatto nuovo, di portata grossa perche ha già scavato una frattura verticale all'interno della classe, dove ormai chi è occupato rappresenta la trazione riformista; basta pensare al sindacato, che, come insiste a stabilire dall'alto i bisogni reali delle masse, così si piglia i fischi della metà esasperata della piazza.

Ma Nello è interrotto dall'arrivo di Spartaco che saluta con calore solo Rita (invecchiato, un'ombra nella faccia che il sorriso non dirada), -ciao-, -ma Mastropietro come fa a rimanere magro-,-dovrà spiegarmelo, boh, darmi una cura-.

Appare stanco in effetti (occhi calamarati e guance flaccide, il ventre probabilmente teso da un colon duro come un manico di scopa), lo nota anche Gennaro, -sei moscio-, -proprio tu che per le lotte vuoi gente sessualmente soddisfatta-, e sorride guardando Rita, - cito tra virgolette-, -chi non scopa non rosica-, ma a ridere è sua moglie mica Rita.

Spartaco non si scompone,- si sta riprendendo col cibo, -al primo posto c'è la fame-, chi mangia e chi no-

-dici bene, ma Giuseppe?- -mica viene Giuseppe, lo vedrete domani- -e tu come hai fatto ad arri vare fino a qui-, -non mi dire che ti sei fatta l'automobile-

-no-, -sono negato a guidare-, -l'istituzione lo sa e vorrebbe uccidermi legalmente-, -dandomi la patente-, -ma io resisto, ancora mi piace questa vita-

-ma allora qui come hai fatto ad arrivarci-

-con la motocicletta-, -mi ha portato Gnu-

-Gnu? ah sta con Giuseppe, mi pare-

-a proposito, ma è vero che Giuseppe si è sposato?-

-eh-

-allora è lui che ti ha fatto cambiare strategia-

-e non contento di avermi messo in crisi mi manda Gnu alle due di notte ad avvertirmi che si stava lavorando per trasformare la manifestazione di domani in una insurrezione-

-Giuseppe avrà voluto rimanere solo con la moglie, no?-

-ma Gnu che fine ha fatto adesso-

-mica è voluto entrare, con voi, ha detto, non ci parla-

-ma tu stanotte che gli hai detto a comesichiama-, -a Gnu-

-Mastropietro è rimasto intelligente-, -gli ho detto che non dormivo da 48 ore, che era Pasquale a dover essere svegliato-

-e Gnu è andato da Pasquale-, -lo capisco perche non è voluto entrare-

-Pasquale è stato fesso, lo ha trattato da coglione-

-fesso però non è Pasquale, non ti pare?-

-su questo ti rispondo dopo-, -però Gnu mica è rimasto da Pasquale-, -alle tre mi ha svegliato un'altra volta-, -per discutere mica no-, -lui voleva sapere se domani scenderemo in piazza per un'altra processione pacifica e di massa-

Poi Spartaco prende le distanze dal collettivo redazionale anche a nome di Giuseppe, -Rita-, -questi vogliono scrivere, per poter credere di far partire una vertenza decisiva a ogni polemica che fanno; sono così, hanno preso gusto a cazzeggiare di conoscenze teoriche da mettere al servizio della classe e non hanno più orecchi per sentire le lagnanze concrete della gente, la richiesta elementare di mettere tutto in comune, anche la ricerca della verità che è affare collettivo mica di gruppi di specialisti sia pure militanti; e allora, come possono avere la fiducia di Gnu? che invece sa benissimo che la rivoluzione è una congiuntura che si può dare da un momento all'altro e che bisogna stare dentro, accompagnare ogni scossa per trovarsi preparati al terremoto, mica distratti a stendere progetti di progetti.

(Nello, soddisfatto, si prepara a rispondere, ha tante cose in comune sia con Spartaco che con Gennaro, no? ma come sottrarsi al desiderio di fare un intervento) -posso?-

Bene; ma tra tanto parlare di rivoluzione nessuno prende atto che la frazione occupata della classe attualmente preferisce aggiustare il modello di sviluppo piuttosto che cambiarlo, soffocando il dissenso e permettendo alla tecnologia borghese di continuare quasi indisturbata a fare le sue trasformazioni; perciò, caro Spartaco, da una parte c'è bisogno di tenersi al passo culturalmente per procedere incessantemente alla demistificazione delle continue mistificazioni tecnologiche, senza di che il pensiero rivoluzionario rischia di limitarsi a una funzione utilmente assorbibile di disturbo di retroguardia; dall'altra occorre rendersi conto che ciò comporta un aggiornamento del discorso sulla società uscendo dagli schemi dei classici; infatti, malgrado le crisi, d'altronde provocate per riportare indietro le questioni, il benessere del mondo capitalistico non è soltanto benessere ma un punto di volta; non basta più, se è mai bastata, la trasformazione socialista dei mezzi di produzione che se intacca le strutture della società capitalistica paradossalmente ne rinsalda le sovrastrutture già in agonia col mondo in estinzione; insomma bisogna correggere l'errore di chiamare al socialismo imponendo una militanza moralistica superata e mutilante; non si capisce che i comportamenti nuovi già presenti nella società borghese sono diventati irreversibili? che organizzare la rivoluzione senza porre i fondamenti di una profonda trasformazione culturale significa solo preparare un cambiamento di potere più gravoso di quelli del passato perché impone all'individuo la presenza in riga e quindi nega ogni forma di dissenso?

Quadrato. Degli altri. Solo Spartaco sonnecchia, o finge. Rita non ha perso una parola. Parla Nello.

Questa, caro compagno, è filosofia, poco Marx e poca economia; non sarà roba vecchia ma la classe operaia non ha bisogno di una filosofia; si deve dunque ricominciare a discutere del bisogno cerebroviscerale di una vision du monde tipico del borghese, estraneo al mondo popolare?

E Nello continua, va dicendo: che l'analisi è astratta, non fa i conti con l'economismo corporativo che ancora contraddistingue il mondo del lavoro sia pure come risultato sbagliato dell'insoddisfazione nei confronti di una strategia alternativa che, questa sì, resta tutta da fondare; che la liberazione da benessere, in tempi di crisi come questi, è oggettivamente una cazzata; che con Spartaco invece.

Gennaro è più conciliante, -fa' un articolo-, -si apre una discussione-, (lui, culo di ferro, il verbale lo ha fatto tutto su un quaderno ma la contestazione non riguarda questo o quel punto, riguarda il modo di pensare; più che il bisogno di autocritica si riscopre l'alibi che si cela dietro il lavoro di equipe; una finestra in alto invece, sulla piazza; lunghe soste al tavolo di lavoro; e Rita).

Ma per fortuna Spartaco non abbocca alle ammissioni di Nello, brinda a Rita,-tu, intanto, non essere infelice-, provocando le occhiate ironiche di Lea ma anche la decisione a vivere di Rita, -io e Eugenio ce ne andiamo-.

Però si alza anche Spartaco, -vengo con voi-, -mi date uno strappo fino a casa di mia madre-, -questi li lasciamo a cercarsi una prassi-, ma nessuno si irrita, si ride.

 

* * *

 

Spartaco si è messo in mezzo di pura prepotenza e ha insegnato la via per arrivare a Centocelle: direttamente attraverso la campagna fino alla via Collatina e quindi a Tor Sapienza, dieci minuti di cammino.

Rita ci teneva a accompagnarlo e la macchina si è mossa verso Roma ma il riccio di violenza che subito ha punto tra le costole tarda a perdere le spine e dura come malumore.

Ci si è messo anche il tempo cambiando all'improvviso, una ventata gelida al momento di salire in macchina e la notte ha partorito le sue nuvole che già sono cresciute e stanno occupando tutto il cielo.

Nessuno per le curve della strada, qualche faro in movimento solo all'altezza dell'autostrada per L'Aquila, rileva la carezza di Spartaco ai capelli di Rita.

-vi conoscete bene voi due?-

-abbiamo in comune il nonno-,-Teofilo, non te lo ricordi?-

-no-

-ma stavi nel quartiere-, -lo conoscevano tutti-

-non me lo ricordo, -io non conosco nessuno della tua famiglia-, -e Rita non sapevo che fosse tua cugina-

-chissà perche io credevo che tu lo conoscessi-

-ma lui non può ricordarselo-, -il nonno non esce più di casa da dieci anni-

-uscirà, sì-

-io stessa è tanto che non lo vedo-, -non sopporto la pena che mi fa-

-Sta male, Rita-,-stasera non riconosceva e dava a tutti del voi-, -ha domandato a mamma, ma questo è figlio vostro? -

deve essere dura per tua madre-

-muore, Rita-, -sragiona-, -appena mi sono avvicinato mi ha chiesto se lo riportavo a casa-, -e per due volte ha chiamato mamma, mamma-

-Spartaco-, -verrò anch'io-, -ma domani-, -tu cerca di capire-, -vengo dopo la manifestazione- -va bene, Rita-, -mi fai piacere-

-voglio occuparmi del nonno-, -ora non ho più paura-, -e poi voglio parlarti di me-, -anche di Eugenio-

-Mastropietro?-, -ho capito-, -ma lui, verrà?-

-non so-

-certo, -verrò-, -anche alla manifestazione-, -passo io a prendervi alle otto-, -ma ora dimmi dove siamo-,-io non riesco a orientarmi-

-ma dài-, -stiamo attraversando Tor Sapienza-, -l'aria di casa non la riconosci?-

-veramente no-

-eppure tu mica sei cambiato-, -perciò ritorni a casa-, -a parlare di crisi-, -del capitale, della democrazia, del socialismo-, -dico bene?-, -però sono cazzate-, -tutti siamo stati a cazzeggiare-, -se non era per Rita non venivo-

Ma ha visto il bivio per Tiburtino III e si rimette in mezzo anche ora che ha capito, -Gino-, -se giri a destra un momento vi faccio vedere i fantasmi-

Rita non dice niente, pensierosa, e contrastare Spartaco è difficile, -ma dài-, -sono soltanto 500 metri-, -qui a via Grotta di Gregna-, -mi fai un piacere-, -mica è bella la nottata che mi aspetta-. L'osteria è in uno spiazzo tra case cadenti, una stanza con le pareti sporche e sulle panche uomini bevuti.

Muratore si avvicina a Spartaco salutando.

-uhè, ch'ssì vnut a ffaà ècch-

-t' sò vnut a truvà i a rvdè ssa ggent vecchia-

-sì fatt bòun, nu semp ècch stém-, -ah, quessa è sòrdta cuggeina-, -i quiss è un firm s' vè ch' ttej-

Ride di gusto mentre si allontana per prendere da bere,

-Spartach-, -ch' cazz d' nom t'ha miss pat't-

Allora si sente Terzopiano, che ammicca sorridendo

-ma mo, dice, che fine ha fatto o capitale-

-tah-, dice Sabino

-no tah, insiste Terzopiano, o capitale, che ne avete fatto-

-io dico tah, fa Sabino, i soldi li ho spesi a piacimento-

-ma aspettate, dice Terzopiano, se capitale nun ne tenite chiù, perche nui v'avimm a chiamà ancora don Sabino-

Si guarda attorno torreggiando, indica l'altro ironico,

-cca, dice, nu state chiù a o paese-

-ma quando uno è arrivato a esse, è, dice Sabino con fierezza" non ci torna addietro-

-sarrà, dice Terzopiano, ma pe curiosità, vuie, state peggio mo o stavate peggio prima-

-io, dice Sabino, sono stato e sono-

-taglia corto don Sabino, emmcìnn-, dice Venanzio il cieco, la faccia alzata, le guance glabre, la voce di tenore.

-io tutti sotto na mano i tengo, dice Sabino, li disprezzo-

-e iate allora, dice Terzopiano, a v'o fà mett dint o culo-

-siete na manica di pezzenti-, dice Sabino, il naso realmente arricciato.

-i sopporta pur tòu, dice Animamoscia seduto solo a un altro tavolino, nu puòch d' sopportazione-

-beh, dice Sabino, ca non ci sto bene qua, emmcìnn Vnà, falla finita ch' ss' solitario-

-azz, dice Venanzio, io steva a spettà a ttè-, e riunisce le carte alzandosi.

Se ne vanno sottobraccio, senza salutare, Sabino guida eretto, il cappello calcato sulla fronte.

Ma è tornato Muratore col vino e riempie i bicchieri, anche Rita beve con avidità ma è sempre assorta e non parla.

Invece Muratore è loquace, -uagliò-, -t' l' sò ditt-, -i ècch stiengh, semp ch' ssa ggent-, -però rcòrdat s'capta coccosa, i ancora cinquantaddu ann tiengh-

-ma mo perche t' sì messa la cravatta-

-la scolla? so it trent'ann senza scolla i mo la vuogl purta n'ati trent'ann-

-ma quiss arrèt a ti chi è, l' maresciall?-

-i s'nnò-

-Madonna, mm'è dvntat-

-n' c' règg chiou, mo nl abbruògna lu mammocc a i g'rènn i allora vè ècch-

Il maresciallo però ha sentito e contrattacca rivolgendosi al ragazzo che lo accompagna,

-Barone-, -chi sono quessi co la sciannella pazza-, -scalzacani?-

-e che ne so, marescià-

-zingarando vanno-, -manco ai cani, biondo-

L'odore del vino intanto ha risvegliato Zanno che istintivamente guarda verso il maresciallo schioccando la lingua,

-mm'ha ditt Terzopiano?- ,

-sì sntout-, dice Ceppone

-par na radio-

-Za, n' t' c' mett pur tou, dice Animamoscia, p' ll' amor d' la Madonna-

-quil è chiacchiaròn, dice Ceppone, napul'tan-

-è stupt, dice Zanno, i pur don Sabino, p' mett a post Terzopiano n'c'vol nient-

Naturalmente, Spartaco conosce anche Ceppone e Zanno,

-tu guardali bene-,-hanno la nostra età-, e coglie il segno; è angosciante constatare come si può essere conciati a 38 anni, uno sfascio come quello degli altri, compreso Muratore.

-ma che ora è-

-è tard, dice Ceppone, n' t' tè suonn?-

-m' tè set-

Guarda il bicchiere e lo sgocciola, poi risoluto va a chiedere il vino al maresciallo, -jamm-, dice impaziente.

-vacci piano, biondo, dice il maresciallo, dicci prima una parola a lo Zanno-

Barone esegue, versa il vino ma parla, -a Za, ma è vero che tu moje te manda l'alimenti?-

Zanno accusa visibilmente il colpo, -tu ancora si scamuzz-, e beve per darsi tono, vuota il bicchiere d'un sorso.

-ma che fai a Za, dice Barone, nun me risponni ?-

-ma vatt a stà ch' sòrdta, uagliò-, dice Ceppone ma Zanno lo quieta con un gesto che non ammette replica, si vuole assumere lo scontro in proprio, ma è rimasto immobile e piange senza accorgersene .

-i pur tu Barone, dice Animamoscia, mo l'è a fà rcumnzà-

Barone ride strafottente mentre il maresciallo beve con serietà, -Barone-, -dacci un poco di vino-, -a lo Zanno-

Il bicchiere è riempito con larghezza e siccome Zanno si ferma a considerare quel vino Barone implacabile continua la sua provocazione, -allora tòo bevi o lo sprechi-

Zanno beve, -diec ann d' miniera, mammocc-, -scherzac tu ch' lla silicosi-

Scola il bicchiere sempre scuotendo un braccio davanti a Barone -ma nn'avè f'uria-, -l' turn vè pur p' ttej-,-vè l'mument ch' j'èv'dè mma fuscn uòmmn-

-ma che stai a dì, ride Barone, stai a fà 'l teatro?-

-m' fì pietà-, -tu ch' t' crid-, -i cinq mis c' so miss a 'mparà l' frances-, -il y a beaucoup de temps avant de gagner quelque chose ici-, -'n albr è mma 'n òmmn-,-c ' n' vol scappà-, -c' n' vol ì pur iss-

Si gira con aria didattica a Ceppone e Animamoscia, -ma nn ' è pussibbl però-, -è cundannat alla terra-, -a sta fiss sott all' acqua-

La crisi erompe improvvisa da quella sua immobilità, -ma dammi lavoro all'aria, cazzo-, un'agitazione motoria mentre chiama in causa il paradiso e invoca il terremoto, Animamoscia ne è sconvolto, -oh Sant 'Amidio-, -oh mannaggia la cummddia-, -oh p'lla pacienza-

Zanno gli si avvicina e lo tranquillizza con le mani, riabbassa anche la voce, -ma tu, Anmamò, l'evìv a vdè-, -l' miedch-, -avt quasc du metr-, -ch' ddu man bianch tutt ven azzurr-, -chiar mma j 'uoochji-, -scìmmaldìtt-, -damm lavoro all'aria no?-, -i chi t' dà-, -m'ha rmannàt alla casa-, -ma - i c' sò fatt causa alla compagnia mineraria-, -m'en a dà la pensione-

-sè-, dice Ceppone scettico

-n' ml llen a dà.?-

Zanno scatta, ma giratosi più del dovuto non si trova avanti Ceppone, si trova avanti Terzopiano.

-azz, la radio-, e subito ride malizioso, -tu don Sabino l'e a lassà pèrd-,-i t'avvert-,-s'nnò quand t' si muòrt t' facc' taglià l' còss p' fatt 'ntrà dent alla cascia-

Per non sentire Terzopiano si era mosso già all'avvertimento e Zanno inciampa nel corrergli dietro, frana a terra urtando una sedia con la faccia e subito comincia a uscirgli sangue dal naso.

-frecat mo, dice Ceppone, p' ffà l' stupt a dic tutt i fatt tej t' sì sfraggllat l' nas-, ma lo aiuta a rialzarsi e la testa alta gliela tiene lui mentre Muratore gli tampona il naso con uno strofinaccio bagnato nell'aceto.

Zanno si fa curare ma quando vede Spartaco si divincola per andare ad abbraccciarlo, -Spa-, mentre istintivamente cerca di ricomporsi tergendosi il sudore, rinfilandosi la camicia nei calzoni.

-Aldo, dice Spartaco, tu nl t' c'è a rdurr a mòstr aocuscej-

Zanno annuisce compunto, -da uògg n' vuogl bev chiòu-, -ma t' vuogl dic n'ata cosa-

Ha ancora qualche brivido nervoso però si va calmando, -moglma n' c' n'è vuluta rmnej-, -Spa, ha truvàt a fà ben-, -mo a mi n' m' n' frega chiou-

Riflette a lungo misurando Spartaco con gli occhi,-i c' so pnsat, Spa-, -vuogl vnì ch' ttej-, -tu sì òmmn-

Continua ancora ad annuire, -pur majùrt-, -mo nn'è buon chiou ma è stat òmmn-, -mammta dòpp-

-mo nl t' rmett a piagn-, dice Spartaco

-m' dspiac p' mammta-, -i la so it a truvà-, -n' m'ha ditt nient ma n' c' rassegna-

-nl vol capèj-, dice Spartaco

-a mi m'ha dat i sold-, -ma é raggiòn tou-, -è mma l' vin d' l' maresciall-, -mma ti avèran a fà tutt-, -mm ' è vera la Madonna-, semp tant dl cappiéll-

-va buòn-, dice Spartaco

-prciò tu n' t'é a fà vnì i brivd s' t' diengh n' bac-

-n' m' vein, Aldo-, dice Spartaco

-prché i vuogl èss mma ttej-, -i t' vuogl bèn, Spa-, -mm.'a Gesù Crist-

 

* * *

 

A Centocelle sono ormai le due di notte e sta piovendo. Poche parole nella sosta, di saluto e di conferma per l'appuntamento, d'altronde la madre di Spartaco aspettava alla finestra e si è già ritirata per aprire .

Un attimo e Spartaco sparisce nel portone che si richiude alle sue spalle mentre la macchina converge e si rimette per la strada già fatta.

Il cielo si è già schiarito all' orizzonte e la pioggia è durata solo il tempo di aspergere le strade, ma la temperatura si è abbassata e ogni tanto si continuano a sentire le folate di un vento di tempesta.

Ma la Tiburtina è un deserto come tutte le strade della notte non ancora piantonate dai gruppi disperati, nessuno parla sotto la luce nebbiosa dei lampioni o sotto quella intermittente dei semafori, non si decide di passare all'azione.

Nell'abitacolo in corsa si è sparso dappertutto un viscolo lanoso di imbarazzo.

-ah-

-dimmi Rita- , -non ci devono essere reticenze tra noi-

-sì.-

-dimmi allora-, -parla-

-un momento-

-ho capito-, -vuoi che ti parli di mia moglie-

-no-, -lei è adulta-, -come si chiama tuo figlio-

-Paolo-, -ha cinque anni-, -mia moglie si chiama Elena-

Ma l'andatura sostenuta ha portato al bivio per Montecelio prima del previsto e non si può evitare una sbandata nel deviare a sinistra, uno slalom di cinquanta metri tra le cunette di una strada risultata troppo stretta.

Non è successo niente ma il momento di perdita completa di controllo del mezzo ha generato un eccesso di cautela, ora sembra avventata anche la scelta della casa di Rosetta, con Rita ancora spaventata quando già si intravede sulla destra la carrareccia nota che sale alla petraia e alla torraccia.

Così, sono i sobbalzi sullo sterro e le occhiate impazzite dei fari a ridare sicurezza, Rita riconosce il posto e si distende, mentre la macchina si ferma scomparendo tra i pini per ricomparire trasmutata, fatta tana tranquilla dove è penetrata la luce pastosa della luna.

In quel tenero l'approccio è inevitabile ma Rita è sconvolta dalla fretta e si ritrae annaspando con le mani, muta ma decisa, e allora basta.

-non mi lasciare, Eugenio-

-ma no-, -se ti ho appena ritrovata-

-scusami-

-e di che-, -non capisco-

-mi gira la testa-, -ti pregavo solo di sorreggermi-

-tu non stai bene, Rita-, -vero?-

-è l' emozione-, -ma io non ho voluto dire niente-

-sì-, -ma tu sei troppo magra-, -hai bisogno di curarti-,-io sono medico e ti posso essere di aiuto-,-ma è tutto inutile se tu non hai cura di te stessa-

-ma io non sono ammalata-, -se voglio durare durerò-

-devi durare, Rita-

-ma hai ritegno a vivere-, -e lo trasmetti a me-

-non è ritegno-, -non l'hai visto com'ero?-, -non mi riusciva di parlare a un uomo-

-tu parlavi benissimo-,-ero io che non sentivo più-, -ma ora sono ritornato indietro e ho capito-,

-mica ti lascio più-

-non dirlo, Eugenio-, -non voglio che tu prenda decisioni-

-io ho deciso, Rita-, -ma resta tutto da fare-

-non con me-, -io sono qui e non voglio rinunciare al rapporto ora che ne sono capace-

-eri infelice prima?-

-non so-, -ma l'ho pensato molto-, -ora però è diverso-, -ho il coraggio di uscire da me stessa-, -le strade le saprò trovare anche da sola-

-si capisce-, -io ho problemi d'altro tipo-, -remore oggettive che non posso maledire-, -io mi dispero di essere nato prima di te-, -comunque di aver vissuto altrove-

-ma siamo qui-, -dunque noi siamo nati insieme-, -Eugenio-, -sì-, -sei stato saldo-, -ma gentile-, -non mi hai guardata per usarmi-, -volevi che vivessi e ora vivo-, -non più impotente, -si-, -è stato decisivo-, -riconoscerti-, -Eugenio, io l'ho avuto-, -il coraggio-, -di amarti-

Sudato, a uscire sono brividi, irriconoscibile il luogo con quei tronchi obliqui, quelle pietre.

A mezzacosta, senza orientamento, una tristezza, un'ansia di letargo .

E invece bisogna camminare, ricominciare una ricerca a occhi aperti e orecchie tese, soste inquiete negli intervalli tra le scosse del terremoto, se si sposta una talpa o si smuovono gli occhi dietro a un luccichio, è subito una frana che impaura, un bagliore che impietra.

Sasso tra i tanti di petraia, senza forma, sperduto.

Ma introvabile anche e dunque libero.

Libero? Ma se non cessa di incalzare la memoria, se ogni sussulto fa battere la testa sullo stesso mattone, sopra tutte la voce di rimprovero di Lallo, -quando mi capita qualcosa tu non ci sei mai-

Se non è mai completo l'elenco di chi appunto si aspetta qualche cosa, braccato anche da Rita, -Eugenio-

-eh si-

-non stare solo, Eugenio-

-ma tu, Rita, sei delusa?-

-ma tu che dici-, -io sono colma di sentimenti-, -faccio progetti che mi incoraggiano a vivere-

-capisco-

-prima sapevo solo stare in guardia-, -non si soffre se si odia-, -ora no-

-oh, Rita-

-non sono più vuota-,-posso vedere il mondo oltre me stessa-

-io ho parlato troppo, Rita-, -non ero insincero, però-

-lo so-, -e io ho cominciato la mia Storia-

-Rita-, -darei qualunque cosa per essere libero-, -farei pazzie per te-

-non ti preoccupare, Eugenio-, -non importa-,-io ti ho amato come sei-

-ma tu dammi tempo-, -io non so come ma vivremo insieme-,-tu sarai mia moglie-

-non voglio essere moglie-, -non so neanche se vivremo insieme-,-voglio vivere io, non lo capisci?-, -gli occhi degli altri non mi fanno più paura-

-davvero?-

-no-, -anzi sono una complicazione utile-

-una drammatizzazione-,-per non cedere all 'abitudine,vero?-

-sì-,-come dici tu-, -non voglio fare la vita di mia madre-

-io devo pensarci, Rita-, -devo sistemare il mio passato-

-è gran parte di me- , -lo scopro adesso-, -altrimenti ci metteremmo insieme da ora-, -ti porterei in una casa.-

-io però ora non ci verrei-

-no?-

-no-,-ho bisogno di star sola con me stessa-, -a calmare il mio tumulto-, -Eugenio, voglio tornare a casa-

-e domani ?-, -parlerai con Spartaco?-

-non so-, -voglio occuparmi del nonno-, -però ti prego di venire domattina-, -voglio che tu il nonno lo veda-

Ormai si ricompone e, malgrado la dolcezza del profilo, si allontana.

Sola, nei luoghi del tumulto da calmare.

Cioè a scegliere i colori del progetto e preparare le richieste.

Con decisione, oltre la tenerezza dello sguardo.

E intanto, se la città è giunta presto, remota è la casa di Rosetta.

Strade fatte e rifatte, amate un tempo.

Ora il traguardo è più confuso, la situazione non è classica, l'emergenza vige da troppi anni.

Da quando si è dovuto abbandonare il concetto di una storia unitaria del genere umano, senza il quale ogni azione è legittima e insensata.

Da allora l'unica prospettiva unificante è il comunismo e la gente lo sa, esita solo perchè un senso alla vita può ridarlo solo l 'uso della forza, cioè la morte.

Per questo le nuvole, che il vento ha portato sul mare, hanno invertito la marcia e stanno ritornando?

Eppure, a tener desto fino all'alba, è stato il rovello del privato, l'amore ha illuminato terre opache e ha risolto il problema con una formula semplice: è un presente felice che redime e giustifica il passato e dissipa le ombre del futuro.

 

* * *

 

-ma non mi ama-, -non mi ama più- sì, c 'è anche Rosetta nel ragguaglio, alta e ben piantata sui piedi larghi, il corpo a mandolino, petto piccolo e spalle strette sui fianchi opimi, cosce grandi e ben fatte, a masse tenere,

-non è più in grado di amar nessuno-

veste con eleganza disusata ma ricca, -come si fa a trasferirsi se si deve lasciare tanta autorità e prestigio per diventare anonimi in città-, monili su camicette trinate, scialli leggeri, gonne sempre scure sul candore delle gambe, -mi ha preso tanto giovinetta-

col bianco lucente del bacino contrasta il volto, naturalmente brunito, grandi occhi cupi e capelli scuri in gran massa, la bocca grande, un poco obliqua rispetto al naso, irregolarità sempre sorretta dalle labbra tenute semiaperte, raggrumate in un sorriso malizioso

nuda, sfatte le carni dall'orgasmo, il primo a suo dire, a 40 anni (è sola, il marito è più vecchio, -non si cura di me tutto preso dalla sua politica-, sempre in giro per affari), sembra grassa e sproporzionata ma la sua è opulenza, sodezza abbondante ma non allentata, nei muscoli c'è scatto giovanile, gli occhi di ragazza

i sensi da sempre ritenuti spenti, -mi è stato facile essergli fedele-, ma continua, implacata, la fantasticheria sessuale, fino all'incontro sulla via di Montecelio il primo maggio,-era tanto che giravo in macchina da sola-

dopo anni, la prima volta in panne, -una macchina così ben riuscita-, al passaggio a livello il motore, spento volutamente, non si era voluto riaccendere

-ma non c'è stato il tempo per il panico-, -sei sopraggiunto tu e siamo subito venuti qui-, a cercare una corda per rimorchiare a un meccanico la macchina, -invece siamo rimasti- senza sottintesi, veramente perchè la casa è bella, -io non avrei mai creduto di essere capace-

-no-, -non lo avrei detto a mio marito-, -ma come non gli dico tante cose-, non per infedeltà, per la sua incuria, -perchè mai gli importa quello che gli dico-

-la casa ti è piaciuta-, -l'hai detto-, sì, in campagna ma vicino alla città, isolato ma a guardare all' esterno, calma la smania di appartenere al mondo, steso al sole ad asciugare il bagno nel movimento, -nemmeno ti capivo però mi affascinava quello che dicevi-, -io non avevo più nessuna fretta-

-sì-, -per la prima volta disprezzavo mio marito-, una vita ostentata con prudenza, in realtà meschina e ritirata, -e mi dava fastidio anche mio figlio-, -già avaro e pauroso-,-e questa non era più la casa di mio padre-, -era un'altra, la sceglievo da adulta per esserci felice-

-tu volevi dormirci-, ma non c' erano lenzuola, -mi vergognavo di offrirti un'ospitalità così poco elegante-, -per questo-, per provarlo, -mi sono sdraiata sul letto che ti preparavo-, -mi consolavo di essere sola-,-ma tu sei entrato-, dominato il rossore dalla mancanza di intenzioni, -parlavi d'altro-, degli alberi tagliati

prima, qui intorno, erano campi a grano e frutta, tanti ulivi, -tutta roba mia-, -di mio padre buonanima-, ma il contadino è sceso a Roma coi suoi figli, -lui mi voleva bene-, -mi ha spiegato tante cose-, -è stato lui a consigliarmi l'erba medica-, -si vende-

gli alberi non servivano più, erano vecchi e i frutti infracidivano sui rami o li godeva chiunque, -li ho venduti come legna-, -neanche questo ho detto a mio marito -, -lui di questa casa non sa più niente da quando il contadino è andato via-,-ma io qui da ragazza ci vivevo-

-invece tu notavi tutto-, anche la libreria, 300.000 lire rifiutate all'antiquario, un milione i mobili dell'ingresso, -ma per la libreria voglio mezzo milione-, -e mio marito non deve sapere niente-,-mi ha tenuto a stecchetto per tanti anni-

-sì-, il segreto economico era il primo e aveva permesso l'emancipazione, -ora ci rido-, ma all'inizio era stata una frustata, -mi risolvevi il problema così brutalmente-, ma intanto la casa rifioriva, non era più una proprietà dimenticata, -io mi sentivo liberare-

-perciò avvampavo-, un'ansia meravigliosa, stupendo raccapriccio della visione dei due corpi nudi, -io speravo che il fuoco si spegnesse-, -se riesco a nasconderlo tentazione passerà-, ma intanto il fuoco divampava, migliaia di scintille crepitanti, - per la paura ho raccolto i capelli nelle mani-

-lo confesso-, -da allora vivo per te-, -per sentirmi desiderata-, -io con te ho conosciuto l'abbandono-,-non posso rinunciarci-, i drammi si possono evitare, anzi finalmente accettabili gli obblighi, senza disagio, -verrò io a Roma se non potrai venire qui-,-io posso sai-

e non si tratta di egoismo, -invece ora ragiono-, una vita legata sciolta dall'amore, -sì-, senza senso di colpa, -non voglio più vivere sottomessa-, -più-, -per amore-, -e tu come puoi esprimerti così-, -nenie-, -cazzate-, -io così mica ti conoscevo-

-mi fai piangere-, a convulsi striduli, pazzi, -non è possibile-, -non può essere finito-, inutilmente, contro l'evidenza, fin dal primo momento, -stamattina, quando ti ho visto con quello Spartaco-

-io ti avevo visto scendere di casa e ti ho seguito-, -venivo per farti una sorpresa-, -e mi sono esposta-, -ti ho preso in macchina davanti a tutti-

-sono gelosa sì-, -perciò ti ho chiamato quando ti ho visto con quella ragazza-, -e mi preoccupo per te-, -come sei pallido-, -come sei dimagrito in questi giorni-

-io non mi sbaglio, Eugenio-, -ho un brutto presentimento-, -vederti con quello Spartaco-, -gente cosi è la bestia nera di mio marito-, -io lo so chi è-, -una pelle perduta-, -a Tivoli ha rovinato una ragazza-

-Eugenio-

-se ne va il traditore, mi abbandona-

-l' avevi già pigliata la valigia-

-avevi deciso tutte cose-

-te ne eri andato senza una parola-

-ma non l'hai avuto il coraggio di non salire con me-

-mi hai rovinata-

-e mo ti rompi le cosse per lassarmi-

-che pòzza fà il terramoto-

-sola dolorosa svergognata-

-io pazza puttana-

-passatempo e basta-

-oh, mi voglio straccià sta faccia nera-

-sta bocca storta-

-ma tu alla casa n'ce possi tornà-

-te possi rompe le cosse-

-possi buttà il sangue-

-che te possi morì da svergognato-

 

* * *

 

Elena

invece dell'esperienza

del bagno caldo nel movimento

questo spreco di tempo per preparare un incontro

queste storie di donne

 

è il sollievo finalmente

lontano dai dischi di Rosetta

 

io come tutti

ho cominciato povero e ambizioso

ho girato cercando il posto calmo

dove essere felice

 

ho fatto male a non quietarmi

a ritornare per impazienza ai luoghi caldi

dove è continuo il terremoto

in mezzo al quale sono nato

 

devo far basta adesso

 

diventato materiale di me

mi basta galleggiare in solitudine

sole e rumore d' acqua tra gli scogli

 

fossile

durerò a lungo

non incalzato dai miei fatti

né da quelli degli altri

 

da lontano dopo

si dissolve l'opacità

ed è l'ottica giusta per il mondo

vista sobria ma ricca

si riaprono gli occhi e si rivede

l'insulto è inutile dell'ira

 

Rita Margherita un' altra volta

rimescolava tutto liberando energia

i sentimenti sono ringiovaniti

hanno mirato al centro sintonizzandosi subito

senza la fase presupposta di disagio

 

Eugenio correva nel giro

andava alla radice senza dinamite

ma senza tener conto dell'ambiente

appena sveglio pronto

a escutere i suoi pegni

 

la strada era in discesa si calava

verso classi in ascesa titolari

di una visione non tragica del mondo

 

il passo era di corsa ma decente

era finalmente il tradimento al tradimento?

o sentendo già freddo

scendeva a valle per cercare

almeno un po' di commozione umana?

 

certo quagliava tutto

 

nulla è più conforme dell'incessante mutazione

alla molteplice varia dileguante fenomenologia

del vivere degli uomini

 

io giravo smaliziato

e ritornavo sui miei passi

non temevo di non trovare una compagna

cambiavo senza pene immeritate

 

e invece non si adatta ai miei bioritmi

stanchezza mortale dopo il movimento

nelle pause l'entusiasmo è scomparso

ed è pigrizia tetra

svogliatezza psicofisica

un viver flosciomoscio spento l'occhio

 

rifiorisce il vecchio orto con la siepe

posso riabbracciare i miei

accoppiarmi con Elena ogni tanto

senza bisogno di rispiegare tutto

 

oh! si aggiusta l'economia dei sentimenti

però il presente è esilio senza futuro

autoreclusione da nausea per la miseria dell'esistente

spiga ventosa che mai si miete

 

ma tu addio Rita Margherita

io ti rilascio alle tue strade

imparerai a conoscerle salvandoti

 

e addio anche tu

vecchia torre spaccata

franata nell'indifferenza

Rosetta gli alberi li ha tagliati

campi inselvatichiti di nessuno

farfalla ritornata larva

 

intanto brilla metallico l'altro mondo

opera d'arte e di mestiere

di luce artificiale che accende

colori sintetici speciali

 

si spende molta energia per controllare questi effetti

ed è forzato l'adattamento all'artificio

tutte le parti come sempre

i sacrifici umani li mettono nel conto

 

e allora sarà stata la paura

un reazionario ricorso alla mancanza di reazioni

manichino

non mi ricordo le ragioni

del mio scendere in basso

o meglio turbato

dal tumulto squilibrante dell'incontro

mi hanno soccorso le vertigini

 

anch'io come tutti

sono nato pellegrino d'equilibrio

 

basta

è fatica anche scendere la costa sono pieno di sonno

anche questa metamorfosi è laboriosa

è anch'essa agonia

 

perciò demordo e mi contento a guardarmi

io così mi trasmuto

passo in un mondo incasinato

che ormai conosce il nome dei problemi

 

inadatto all'assenza e alla presenza

forse troppo piccolo constato

di essere nato troppo presto o troppo tardi

 

lo riconosco infatti

è la necessità che ha reso l'uomo economico

e l'aggressività infraspecifica è stata un mezzo adatto

a uomini poveri e infelici nello stato di natura

 

sarà dimenticata non da me

ciò che si è appreso può essere infatti dimenticato

 

solo la resistenza ai cambiamenti

giustifica la visione tragica

ma non la prova

 

la lotta di classe cioè la forma duratura della guerra

porterà alla scomparsa delle classi

e dei conflitti antagonistici

 

nella pace

non sarà più calato nell'istinto

sentir la società come un tutto indistinto in cui si annega

e abbracciare la vocazione di distinguersi

per identificarsi

 

fai poesia

non sarà più uno scialo contestare

la spinta a emergere contrando l'onda di marea

senza argomenti decisivi

 

però non è per me no

per me il congedo

pieno di ricordi

 

nei luoghi caldi dove accade tutto

anch'io ho vissuto ma ora basta

mi sono estenuato dimagrito troppo

 

la parabola inizia la fase discendente

e io mi arresto faccio punto

rinunciando al futuro

 

pavido Rita Margherita

Eugenio si compiace così

sfredda attento solo alle fasi del processo

il calabrone scioperato sempre Mastropietro

risponde a sè

capisce solo il richiamo di se stesso

si evolve al centro ritirando le antenne

 

esce senza vergogna da terre in preda al terremoto

e si rintana nel suo specchio d'acqua

ricco di scogli silenziosi

 

acquietato riaccetta la mansione

di osservare il movimento e commentarlo

forse in nome dell'uomo

mentre sfreddando si secca

si posa al fondo e cessa

di emettere richiami

 

ma la lingua

un tempo vela luminosa

già ora è canapa consunta

uno straccio filaccioso

 

tìììììììììììììììì

 

ahi il treno

 

ma la metamorfosi è lenta

fa molte pause no

ho perso il ritmo

 

però è il processo di questa metamorfosi

degli uomini ma anche delle società

che voglio osservare fin che posso

 

dal luogo adatto si capisce

centrale mica eccentrico

idoneo a chi molto sosta al tavolo di lavoro

 

dove risplende tiepida l'efficacia delle questioni di importanza permanente

dove progettazione razionale e conversazione amichevole

stimolano all'attenzione dei problemi generali

dove è ottimo il lavoro di lunga durata

dove ci sono gli strumenti

 

certo gli errori

le stesse noie del dettaglio sono inevitabili

ma la disperazione è sconosciuta

l'occhio è in grado di cernere l'ordito del disegno

intero a cui si dedica la vita

 

salvarsi dunque non ritornare nelle vecchie strade

contento a sè e all'età dell'oro del progetto

Rita la lascio nel suo bosco

partecipare è di nuovo peccato originale

imperdonabile adesso

 

lo sai non può far testo il contingente

l'agitarsi a folle di periferia

il pazzo commutarsi per mutare

 

agonizzando

anche il proletariato si trasforma

 

basta guardarsi intorno

le plebi generate dal capitalismo nella sua vecchiaia

sono deformi orrende masse babiloniche

 

l'uomo che si incontra la sera non è più quello del mattino

di notte girano fantasmi scalzacani lupi mannari

dovunque imbroglioni avventurieri pazzaglioni

 

insieme zingarigno le strade sciorinano violenza

si profumano le ascelle pezzenti e arricchiti insolenti

tutti si improvvisano diversamente

effluvii provengono di dovunque

tra case inaridite da polvere e immondezza

ovunque perseguitati che vogliono perseguitare

esseri rancorosi che muoiono di ogni morte

 

ma intanto vivono parlando mille lingue

sognando ogni forma di possesso

gli espedienti pullulano come ranocchi in palude

masse isteriche guidate da capi esagitati

brulicano a ogni angolo

da ogni spigolo si sporgono visi disumani a intimidire

in ogni piazza risi osceni ricolmi di bestemmia

 

hai vinto Elena

è nòstos anche questo

le cose viste mi disgustano

anche le cose fatte potessi smemorare

ma omnia mea mecum porto la cartella!

idiota!

la cartella!!


Last revised 22 August 2019  - Andrea Di Cicco
Revised 12 February 2001  - Marco Di Cicco
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