IL VICINO DI CASA

inedito

 

Antonio Di Cicco - Il vicino di casa (1961-62)
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Tornavo a casa. In quel momento la città mi pareva silenziosa, quieta, come se i rumori fossero attutiti da un isolante liquido. Dopo un pomeriggio annoiato e chiuso mi faceva bene l'aria colorata nella sera che cominciava. Aspettavo l'autobus per tornare a casa e con piacere inconscio e torpido mi sentivo libero dal bisogno di pensare o di risolvere con giudizio una delle mie difficoltà. Era una disposizione passiva che mi faceva guardare un manifesto o magari una donna con una atten zione assoluta pur sapendo che di quei momenti di contemplazione non avrei serbato ricordo alcuno. E' infatti uno snervamento psicologico che per qualche momento mi rende pura forma ricettiva e che, come una valvola automatica, serve a riposarmi la mente.

Quando la rossa 500 si fermò davanti a me stentai a capire quello che voleva l'uomo che ora mi si rivolgeva. Immaginai che volesse sapere l'ora o che mi chiedesse l'ubicazione di una strada che sperai di non conoscere nemmeno io. Ma l'uomo insisteva e io mi avvicinai impacciato.

"Buonasera -mi disse- vuole un passaggio fino a casa?"

Io non lo conoscevo di certo anche se riflettendolo con uno sforzo mi sembrava di trovargli una somiglianza con qualcuno che dovevo aver conosciuto. Una somiglianza strana, mi sembrava, e infatti mi venne in mente che mio figlio chiamava gatti anche le grosse tigri. I suoi tratti d'altronde non m'interessarono e dopo un attimo di esitazione ricaddi in quel torpore benefico che mi distendeva i nervi.

"Ma lei chi è -domandai maleducatamente.

"Sono D., il padre di quell'alunno di sua moglie -disse- siamo vicini di casa". Era un poco stupito .

"Ah -dissi io- certo, mi scusi, ero soprappensiero". "Allora vuol salire"-disse il signor D. pacificato.

Ora avevo capito davvero chi era e mi ricordavo il figlio che avevo visto più volte accompagnare mia moglie. Salii accanto a lui non sapendo perchè a malincuore ma cercando di non comportarmi con maleducazione. La macchina partì velocemente e subito uscimmo dalla città.

"Forse le dà fastidio il vento -disse il signor D.

"No no -mi affrettai io. Ma visto che il signor D. si distraeva dalla guida per indicarmi col dito il punto preciso da cui entrava il vento fastidioso, chiusi il finestrino ermeticamente.

"Lei ha la patente?"-domandò il signor D.

"Sì"-dissi e poichè mi era sembrato di essere troppo laconico aggiunsi ancora "sì sì". Passò qualche minuto. Io guardavo la campagna fuori. Di maggio è tutta verde, di un verde vario di cui è impossibile delimitare i passaggi di tono.

"Bella campagna, vero" disse il signor D. "Già -dissi io- mi piace molto" .

"Ma ha mai guidato una 500" -disse il signor D. Io annuii abbastanza di malumore.

"E' una buona macchina -disse il signor D.- L'aveva da un anno.

"La tengo bene eh -mi disse guardandomi . " Fa bene -dissi io.

" Ah -disse il signor D.- su questo non transigo. La tengo bene e mi tengo informato. E mi piace portare a casa qualcuno'

Riflettè.

"Pensi, per 16 anni ho atteso l'autobus a quella stessa fermata dove stava lei" .

"La ringrazio -dissi io- è stato buono da parte sua".

"Ma no -disse- siamo vicini di casa, figuriamoci". "E poi io so quello che costa aspettare l' autobus"

Lo guardai. Poteva avere 40 anni. Era un po' flaccido e gli occhi erano neri e incavati. Ma le mani erano bianche e fini. Guardai la macchina. Veramente pulita, tappezzata, piena di ninnoli. Il volante ricoperto da un passamano scabro e colorato.

" Già -disse il signor D.- mi tengo informato. Ho sempre letto 'Quattroruote'. Si impara molto da quella rivista. E non voglio fermarmi a questa macchina. Voglio comprare un 'Anglia'". "La troverò usata e la comprerò -disse- 16 Km con un litro di normale e 8000 Km con due chili d' olio" .Sporse le labbra da intenditore. "Prestazioni eccezionali" Io lo sentivo ormai con tristezza. Seduto non poteva nascondere una grossa pancia, rotonda sotto un vestito di buona stoffa.

"Lavora qui in città?"-domandai svogliatamente.

"In banca -disse- 16 anni ho atteso l'autobus. Come stasera lei. Però a un certo momento basta, anche se bisogna fare qualche sacrificio".

Io non risposi e guardai fuori di nuovo.

" Così lei è un lodatore della campagna- disse affabilmente il signor D. Adesso andavamo lentamente dietro ad un camion. Notai che il signor D. rispettava scrupolosamente le regole della strada. Guidava con attenzione e le parole gli venivano senza sforzo.

"Cosa ci faccio con la macchina -mi disse gravemente- Tutto. Non solo il lavoro. Di domenica vado fuori città con mia moglie e mio figlio. Ieri non le dico". Scosse la testa sorridendo allegramente.

"Eravamo andati al mare, io mia moglie e mio figlio. Anzi avevamo portato con noi anche un compagno di mio figlio, un altro allievo di sua moglie. Non le dico lo spavento, anche mio, non lo nego. Eravamo sulla spiaggia da venti minuti quando si precipitarono su di noi 4 reattori a non più di dieci metri d'altezza. Sembrò proprio la fine del mondo. Il rumore, il fumo. Mia moglie si sentì male. Io volevo andare a protestare ma poi vidi i cartelli che annunciavano quelle acrobazie per una festa degli aviatori. Beh, eravamo tutti sconvolti e volevamo tornare a casa a metà pomeriggio. Ma come salimmo in macchina ci sentimmo consolare. C' era in essa tutto l' ordine e la fiducia della nostra casa. Mi misi, lo confesso, a guidare con gioia, con l' intenzione di girare senza meta prima di rientrare a casa. Anche mia moglie si sentì meglio. Mi aiutava a manovrare la freccia di direzione" .

" Certo se dovevamo tornare a casa con l'autobus"- disse ancora.

Io non risposi. Mi sembrava naturale che io parlassi con quel mio vicino di casa, come se da sempre avessi conosciuto lui, la sua impressionabile (forse lui avrebbe detto sensibile) moglie e quella rossa 500 che era per loro una seconda giovinezza.

Stavamo per arrivare alla nostra cittadina. Si vedevano ancora vecchie case di contadini ma ora anche villette di cittadini che come me, a dire del signor D., si sentivano attirati dalla campagna.

Erano case nuove, colorate vivacemente, gradevoli anche se i colo ri non armonizzavano con la natura circostante. Spiccavano le finestre e i cancelli multicolori e le grandi aiuole fiorite.

Si vedevano anche gli uomini; con docili canne di gomma sintetica davano acqua ai fiori guardando con disappunto il cielo macchiato di nuvole. Ripetevano alla rovescia, senza sentimento o convinzione lo sguardo preoccupato e supplichevole del contadino che guarda il cielo. Anche loro, come il signor D., anche a costo di fare dei sacrifici, avevano dedicato 16 anni per vivere in quella casa propria, affascinati senza saperlo dal rito serale dell'acqua ai fiori giganti nutriti dalla loro canna di gomma sintetica. Immaginavo il loro dispetto se dopo una minuziosa irrigazione, più tardi, di notte, si fosse messo davvero a piovere. E mi tornò dolorosamente alla memoria il caso di quell'uomo al quale la buonafede e una firma di avallo per un suo parente avevano tolto la casa non ancora finita e che era tutta la sua preoccupazione. Niente di più logico che, dopo la constatazione che la casa non poteva essere salvata, egli avesse fatto sedere con un breve cenno la moglie su di un divano e poi, prima di aprire il rubinetto del gas, si fosse messo a stuccare diligentemente porte e finestre.

Con quello stesso impegno con cui tempo addietro aveva voluto aiutare gli operai che gli rifinivano la casa.

Eravamo arrivati. Con seccante e precisa gentilezza il signor D. fermò la macchina proprio davanti al portone della casa in cui abito.

" Troppo gentile"- dissi io- Grazie" .

"Ma le pare -disse il signor D;- siamo vicini di casa, no? Mi saluti la signora".

Scendendo dall'automobile mi ero sentito meglio. Mi era tornato un desiderio di correre, di fare qualcosa, di stravagante, di dilapidare qualcosa. Pensai a mio figlio che vedendomi si sarebbe gettato per terra schiaffeggiandosi sonoramente per la contentezza e per la prima volta questo suo comportamento mi apparve gradevole, originale.

Mi girai e feci ancora in tempo a vedere la 500 del signor D. che girava verso il Garage. "Vai al diavolo -dissi- vicino di casa".


Compuscript created by  Marco Di Cicco 7 february 2001.
Last revised 19 February 2001  - Andrea Di Cicco